venerdì 19 dicembre 2008

La magistratura chiede l'arresto di un deputato, Salvatore Margiotta (Pd). Ma i suoi colleghi parlamentari dicono no. Tranne l'Idv.

La Giunta per le Autorizzazioni, l'organo della Camera dei Deputati che valuta e decide sulle richieste di restrizione della libertà avanzate dell'autorità giudiziaria nei confronti di un parlamentare (ad esempio l'applicazione della custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari ecc.), ha detto no all'arresto del deputato del partito Democratico Salvatore Margiotta. La richiesta di arresti domiciliari per il parlamentare "democratico" era arrivato dalla procura della Repubblica di Potenza, nell'ambito dell'inchiesta sulle tangenti sugli appalti per l'estrazione del petrolio in Basilicata. Hanno detto no all'arresto tutti i gruppi parlamentari rappresentanti nella Giunta, tranne l'Idv. In pratica la Giunta ha proposto a maggioranza, esclusa l'Italia dei Valori che si è opposta, alla Camera di negare l'arresto chiesto dalla magistratura inquirente. ormai una prassi negare l'autorizzazione. Oggi il voto in aula. La legge è uguale per tutti? Neanche per sogno.


Di seguito, tratto dal sito della Camera dei Deputati, il verbale della seduta del 18 dicembre. Chi è interessato a leggerlo si accorgerà di come la cosiddetta questione Morale ai nostri politici di destra e sinistra interessa solo fino a quando non si tocca qualcuno di loro.

Giunta per le autorizzazioni - Resoconto di giovedì 18 dicembre 2008

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Giovedì 18 dicembre 2008. - Presidenza del presidente Pierluigi CASTAGNETTI.
La seduta comincia alle 8.35.
Esame della domanda di autorizzazione a eseguire la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del deputato Margiotta (Doc. IV, n. 3). (Seguito dell'esame e conclusione).
Maurizio PANIZ (PdL) afferma che la linea seguita dalla sua parte politica è stata e sarà costante, a prescindere dall'appartenenza dei deputati interessati. Egli e lo schieramento politico a cui si onora di appartenere staranno sempre a guardia delle garanzie di libertà che la Costituzione e la legge assicurano ai parlamentari e ai cittadini. La legge in questo caso prevede che la libertà personale possa essere limitata soltanto in caso di pericolo di fuga o di circostanze che possano mettere a repentaglio la genuinità delle prove. Nel caso dell'on. Margiotta, gli sembra evidente la carenza di entrambi questi presupposti. In particolare, gli sembra risibile il rilievo per cui la rete di relazioni e interlocuzioni che un deputato intrattiene sul territorio di per sé possa costituire elemento rilevante al fine del giudizio sul possibile inquinamento delle prove. Pur non intendendo entrare a fondo nel merito delle accuse, nondimeno rimarca la modesta qualità degli indizi di colpevolezza prospettati dall'autorità giudiziaria. Quanto infine al consueto tema del fumus persecutionis, non saprebbe affermare se questo sussista o meno: certo è però che Salvatore Margiotta è un cliente affezionato del dott. Woodcock e delle di lui labili iniziative penali. Il gruppo del Popolo della Libertà voterà per il diniego dell'autorizzazione.
Antonio LEONE (PdL), nell'associarsi alle considerazioni del deputato Paniz, definisce fantasiose le iniziative giudiziarie del dott. Woodcock, il quale già nel 2002 chiese l'arresto dei deputati Angelo Sanza e Antonio Luongo nell'ambito di un'inchiesta che si risolse in un nulla di fatto. Avanzò altresì domanda di utilizzo di intercettazioni telefoniche di conversazioni tra il medesimo Margiotta e la di lui moglie, in barba al motto popolare per cui «tra moglie e marito non mettere il dito». Anche la presente appare un'iniziativa strumentale e infondata, manifestazione di protagonismo di quella parte della magistratura che ha in animo la costante aggressione al Parlamento. Ritiene opportuno da parte della Giunta l'adozione di linee di condotta e di definizione degli ambiti applicativi dei poteri giurisdizionali idonee a respingere questo tentativo.
Pierluigi MANTINI (PD) esprime sconcerto per la domanda in titolo, caratterizzata da una disinvoltura sorprendente. Gli

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addebiti mossi al Margiotta sono connotati dall'assenza di qualsiasi concreto elemento e ritiene comunque, d'accordo col collega Paniz, totalmente insussistenti le esigenze cautelari, sia perché i fatti ipotizzati risalgono a un anno fa, sia perché manca un concreto riferimento a elementi specifici che spieghino il pericolo di inquinamento della prova. Agli atti manca l'indicazione di chi fossero i commissari di gara, né risultano acquisiti i relativi verbali. Circa le considerazioni di carattere generale svolte dal collega Leone, crede che la politica debba rimanere distante dallo svolgimento delle gare d'appalto, la cui correttezza è rimessa esclusivamente alla cura e alla vigilanza dei funzionari di carriera. Il ceto politico tuttavia, dovrà riflettere in senso critico e - per quel che riguarda la sua parte politica - anche autocritico sull'anomalia italiana per cui un avviso di garanzia si trasforma immediatamente in una condanna definitiva. Pur ritenendo che l'abolizione dell'autorizzazione a procedere del 1993 sia un punto fermo, crede opportuno un riequilibrio nell'esercizio dell'azione penale, tale per cui se sbaglia una personalità politica o amministrativa essa deve pagare. Ma nei casi di colpa grave devono pagare anche i magistrati.
Luca Rodolfo PAOLINI (LNP) afferma, da quanto ha potuto leggere, che l'autorità giudiziaria ipotizza un sodalizio criminoso ben strutturato, di cui però non vengono offerti gli elementi costitutivi né soprattutto vengono tratteggiati i terminali che condurrebbero al Margiotta. Lo ha colpito l'incongruenza per cui viene chiesta oggi una misura cautelare per fatti avvenuti tra il dicembre 2007 e il gennaio 2008. Gli episodi, pur gravi, che vengono descritti avrebbero dovuto indurre gli inquirenti a bloccare immediatamente la progressio criminis, ciò che non è avvenuto e che toglie evidentemente plausibilità all'impianto del provvedimento cautelare. Voterà per il diniego.
Aniello FORMISANO (IdV) annuncia che voterà per la concessione dell'autorizzazione. L'articolo 68 della Costituzione non autorizza la Giunta a giudicare nel merito dei fatti: esso sta semplicemente a tutelare le assemblee elettive da interventi dell'autorità giudiziaria volti ad alterare la composizione delle Camere in violazione del responso elettorale. Crede inopportuna ogni altra considerazione.
Donatella FERRANTI (PD) auspica che la Giunta ritrovi oggettività e rigore di giudizio. In questo momento delicato commenti e generalizzazioni sono sommamente inopportuni. Non crede che i deputati debbano rispondere a comunicati stampa o al dibattito mediatico. Chi pensasse all'esistenza di un complotto o a trame eversive sarebbe in errore. Spera che i colleghi si vogliano astenere da affermazioni avventate che offenderebbero i parlamentari onesti.
Roberto GIACHETTI (PD) osserva che fino a prova contraria i parlamentari sono tutti onesti e hanno la medesima legittimazione.
Antonio LEONE (PdL) domanda alla collega Ferranti se stia parlando in qualità di deputato o di magistrato.
Donatella FERRANTI (PD), riprendendo il suo dire, prega i presenti di abbandonare una preconcetta avversione per la magistratura e di attenersi al compito che oggi è assegnato alla Giunta, vale a dire quello di esaminare la documentazione pervenuta e di cercarvi, se possibile, gli elementi giustificativi della misura cautelare della cui esecuzione oggi si tratta.
Antonino LO PRESTI (PdL) deve sottolineare che nessuno sinora ha parlato di complotti. Si dichiara tuttavia convinto che il Parlamento dovrà pur tutelarsi dalle iniziative estemporanee di un magistrato che non è nuovo all'imbastire inchieste che si sono rivelate bolle di sapone. Non è possibile consentire che la dignità dei parlamentari sia gettata così in pasto all'opinione pubblica. Considerata aberrante l'interpretazione data dal collega Formisano

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all'articolo 68 della Costituzione, crede in effetti che occorra astenersi dal giudizio sul merito del procedimento penale in corso. Nondimeno gli sembra palese l'insussistenza dei contatti tra il Margiotta e gli indagati che avrebbero alterato il risultato della gara. È solo nell'ottica e nell'impostazione culturale del leader dell'Italia dei valori che potrebbe concepirsi l'arresto oggi richiesto, inteso come strumento di pressione finalizzato a ottenere una confessione. Voterà secondo l'indicazione del collega Paniz.
Lorenzo RIA (PD) non vuole cadere nelle contraddizioni nelle quali a suo avviso sono caduti i colleghi Lo Presti e Mantini. L'uno, pur avendo dichiarato di non voler affrontare il merito delle fattispecie penali ipotizzate, si è poi fatalmente cimentato proprio con quel merito; l'altro ha invece deviato verso considerazioni di tipo generale che non pertengono alla sede della Giunta per le autorizzazioni e che rischiano di togliere limpidezza alla conclusione verso cui gli sembra la Giunta stessa si stia orientando. Proprio per scongiurare il pericolo di una commistione tra considerazioni politiche più generali e quelle attinenti al caso concreto, crede che la riunione debba essere sospesa e rinviata a domani in modo da consentire, quantomeno al suo gruppo, di pervenire a una posizione più nitida e coerente.
Pierluigi CASTAGNETTI, presidente e relatore, sospende la seduta.
La seduta, sospesa alle 9.35, è ripresa alle 9.40.
Marilena SAMPERI (PD) rileva che non è sempre facile per i membri della Giunta separare questa specifica funzione dalla qualità generale di uomini e donne che fanno politica in Parlamento. Crede indifferibile una riflessione in Parlamento sull'etica pubblica, che non riguarda soltanto la sua parte politica. L'odierna discussione non è però la sede per queste considerazioni ma invece quella di un esame serio e oggettivo della documentazione trasmessa dall'autorità giudiziaria di Potenza. Le pare che allo stato non sussistano i presupposti per l'irrogazione della misura cautelare restrittiva.
Lorenzo RIA (PD) annuncia che il suo gruppo voterà contro l'autorizzazione agli arresti del deputato Margiotta ma auspica che l'odierno dibattito sia mondato da considerazioni ulteriori che porterebbero fuori strada.
Elio Vittorio BELCASTRO (Misto-MpA) crede invece frutto di un'ipocrisia separare con una sorta di sipario il ruolo di deputato e di politico da quello di membro della Giunta. La sua esperienza professionale di avvocato gli ha insegnato che ci si trova dinnanzi a una piaga nazionale, quella del protagonismo della giurisdizione penale, che quindici anni fa ha portato alla fine di un'era. Sa che qualsiasi personalità di pubblico rilievo in una collettività organizzata solletica la voglia di apparire della magistratura. Per questo non condivide la posizione dell'Italia dei valori. Una superficiale lettura degli atti lo porta a ritenere insussistenti le esigenze cautelari e quindi a votare per il diniego dell'autorizzazione.
Antonio LEONE (PdL), tornando a intervenire, afferma di essere stato frainteso. Non ha mai pronunziato la parola «complotto» ma - rispondendo al collega Ria - dubita che si possa intendere la Giunta come una sede impropria per affrontare i temi del rapporto politica-giustizia. La Giunta non è un luogo esterno al Parlamento ma è anzi, forse, il suo luogo privilegiato, tanto è vero che è qui che si amministrano le prerogative di cui all'articolo 68 della Costituzione.
Pierluigi CASTAGNETTI, presidente e relatore, osserva che, pur a fronte dei dati oggettivi che l'autorità giudiziaria prospetta, il quadro indiziario concernente Salvatore Margiotta gli appare limitato e frammentario. Se è verosimile credere che egli conoscesse e frequentasse il Ferrara, mancano dalla documentazione trasmessa

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elementi consistenti tali da far ritenere accertata la circostanza del suo interessamento nell'appalto. Che egli abbia contattato il Presidente della Regione Vito Di Filippo per fargli cambiare idea sull'opportunità dell'aggiudicazione in capo all'Impresa Ferrara non è provato. Né è accennato in che cosa sarebbe consistita concretamente l'opera di intercessione del deputato Margiotta, né ancora si accenna minimamente a che cosa avrebbe fatto a sua volta il Di Filippo per consentire la vittoria dell'Impresa Ferrara, tanto ciò è vero che questi non è indagato. Non è privo di importanza, poi, che dal provvedimento del GIP di Potenza non si evinca chi siano stati i commissari di gara e se gli altri concorrenti abbiano impugnato gli atti della gara stessa innanzi al giudice amministrativo. È evidente poi che la sola affermazione del Ferrara fatta alla Zippo di aver promesso al Margiotta 200 mila euro è insufficiente a provare la circostanza. Ricorda fra l'altro che l'importo dell'appalto era nientemeno che di 35 milioni di euro. D'altronde, anche sotto lo specifico profilo delle condotte addebitate ai vari concorrenti, gli elementi addotti potrebbero in via del tutto ipotetica integrare l'associazione per delinquere e la corruzione ma non la turbativa d'asta, la quale invece appare realizzata interamente dagli esponenti della Total e dell'Impresa Ferrara. Quanto da ultimo alle esigenze cautelari, il solo fatto che Salvatore Margiotta - a dire del Bochicchio e del Ferrara - abbia adottato delle cautele telefoniche consente tutt'al più delle congetture ma non una convinzione circa il pericolo effettivo che la mancata limitazione della sua libertà personale possa incidere negativamente sul quadro indiziario e probatorio. Ricordato infine che nella prassi della Giunta per le autorizzazioni la concessione dell'autorizzazione all'arresto viene proposta generalmente di fronte a gravi reati di sangue o comunque in presenza di riscontri assai solidi, afferma che tali requisiti non sembrano sussistere e per questa ragione crede che la richiesta dell'autorità giudiziaria vada respinta. Ciò non in ragione di un privilegio di casta ma per la dirimente considerazione che su basi simili a quelle oggi prospettate dall'autorità giudiziaria nei confronti del deputato Margiotta nessun cittadino dovrebbe essere privato della libertà personale.
Pierluigi MANTINI (PD) dubita che si possa parlare di una promessa di danaro. Ci si dovrebbe limitare a riferire di un'intenzione del Ferrara di consegnare la somma al Margiotta.
La Giunta, a maggioranza, delibera di proporre all'Assemblea il diniego dell'autorizzazione, conferendo al presidente Castagnetti il mandato di predisporre la relazione.
La seduta termina alle 10.05.

(Di seguito la seduta del giorno prima, il 17 dicembre, nella quale si difende lo stesso Margiotta, come da verbale della Camera - nota del blogger):

Giunta per le autorizzazioni - Resoconto di mercoledì 17 dicembre 2008

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Mercoledì 17 dicembre 2008. - Presidenza del presidente Pierluigi CASTAGNETTI.
La seduta comincia alle 9.20.
Esame della domanda di autorizzazione a eseguire la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del deputato Margiotta. Doc. IV, n. 3. (Esame e rinvio).
Pierluigi CASTAGNETTI, presidente e relatore, precisa che la domanda è pervenuta ai sensi degli articoli 68, secondo comma, della Costituzione e 4, comma 1, della legge n. 140 del 2003. Dal deferimento da parte del Presidente della Camera, ai sensi dell'articolo 18, comma 1, del regolamento della Camera, decorre un termine di 30 giorni entro cui la Giunta deve riferire per iscritto all'Assemblea. Come anche prescritto dal regolamento, il deputato interessato è stato invitato a intervenire per offrire i chiarimenti ritenuti necessari. Rammenta altresì che lo stampato è disponibile da ieri sera ma l'originale della richiesta è stato reso disponibile immediatamente a tutti i componenti la Giunta fin da ieri in mattinata e risulta che diversi di essi ne abbiano già preso cognizione. L'inchiesta nell'ambito della quale la domanda è stata avanzata dal GIP di Potenza riguarda il settore dell'estrazione petrolifera in Basilicata. L'autorità giudiziaria al riguardo espone che lo Stato italiano ha già concesso a tre grandi compagnie petrolifere (la Total, la Shell e la Exxon Mobil) lo sfruttamento del giacimento petrolifero sito nei territori dei comuni di Corleto Perticara e Guardia Perticara (Potenza) e di Gorgoglione (Matera). In qualità di concessionarie, tali compagnie possono essere anche stazioni appaltanti di opere pubbliche collegate all'estrazione degli idrocarburi. Secondo l'ipotesi accusatoria, in questo caso, la Total Italia, filiale italiana della francese Total SA, avrebbe bandito (anche sulla base di un protocollo d'intesa con la Regione Basilicata e le altre due menzionate compagnie petrolifere) diverse gare d'appalto per la realizzazione di varie opere. Senza qui entrare nel dettaglio della disciplina giuridica (rinvenibile nel decreto legislativo n. 163 del 2001) e nei profili tecnici degli appalti, specificamente riferiti a ciascuna opera, ritiene sufficiente invece riferirsi a una sola delle predette opere per cui è stata bandita la gara, vale a dire l'appalto dei lavori di preparazione del sito destinato a ospitare il «Centro oli Tempa Rossa». Secondo l'ipotesi accusatoria, i dirigenti della Total Italia (in particolare Lionel Levha e Jean-Paul Juguet e i due italiani Roberto Pasi e Roberto Francini)

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avrebbero alterato dolosamente i risultati della gara in favore di un'associazione temporanea d'imprese chiamata «Impresa Ferrara» riconducibile a tale Francesco Rocco Ferrara. L'alterazione sarebbe avvenuta mediante lo scambio materiale delle buste con le varie offerte, in modo tale da far risultare quella dell'ATI Ferrara vincitrice in danno degli altri concorrenti (vedi pagina 40 dello stampato recante l'ordinanza di custodia cautelare). In pratica, il Levha avrebbe dato disposizioni ai suoi collaboratori di verificare, in un luogo appartato e in un momento anteriore alla loro formale e legittima apertura, il contenuto delle buste D (quelle recanti i documenti giustificativi della congruità delle offerte economiche, a loro volta contenute nelle buste C). Ciò sarebbe effettivamente avvenuto in presenza del Ferrara e del suo collaboratore Donnoli in modo da consentire a costoro la sostituzione della busta con una recante un'offerta vittoriosa (cfr. pagine 41 e 42 dello stampato). Da intercettazioni ambientali (pagina 40 dello stampato), gli inquirenti evincono che il Levha condividesse l'obiettivo di far vincere la gara a Ferrara quasi come se fosse uno scopo proprio. Essi ne deducono quindi la sussistenza di una vera e propria associazione a delinquere. Ulteriore riscontro a questa ipotesi, secondo l'ordinanza di custodia cautelare, sarebbe in un'intercettazione di una conversazione tra Francesco Ferrara e tale Nicola Montesano, nella quale il Ferrara sostiene di aver fatto una sorta di accordo generale con la Total anche a prescindere dalle decisioni dei competenti uffici della Regione Basilicata nel settore. Secondo gli inquirenti - e si viene così agli aspetti di più stretta competenza della Giunta - il Ferrara si avvaleva, nell'esercizio della sua attività imprenditoriale, di contatti e frequentazioni politiche, tra cui quelle con il Presidente della Regione Vito De Filippo e il deputato Margiotta. Precisa che nella presente vicenda il Presidente della Regione appare essere complessivamente contrario, se non addirittura ostile, all'affermazione imprenditoriale del Ferrara. Non così invece, secondo l'accusa, il deputato Margiotta, il quale, secondo le risultanze di un appostamento di polizia, avrebbe incontrato il Ferrara in una occasione, il 16 dicembre 2007, intrattenendo con lui una conversazione in strada di poco meno di un quarto d'ora. Tale incontro sarebbe stato chiesto e concordato tra il Margiotta e il Ferrara attraverso Donato Antonio Bochicchio. Quest'ultimo risulterebbe aver parlato con Ferrara almeno due volte il 15 dicembre 2007, senza però mai fare esplicitamente il nome di Salvatore Margiotta, limitandosi a far cenno a un comune «amico che era ancora a Roma» (pagina 102 dello stampato). Ancora: in una conversazione tra Bochicchio e Ferrara del 16 dicembre 2007, il Ferrara dichiara di temere o di sapere di essere intercettato e dichiara di essere incline ad assumere delle cautele al telefono. A tal punto il Bochicchio osserva trattarsi delle stesse cautele adottate da tale Salvatore (che l'accusa ipotizza essere proprio il collega Margiotta) (pagina 122 dello stampato). Altro elemento che la pubblica accusa adduce a carico del Margiotta è il riferimento a lui fatto in una conversazione del 21 dicembre 2007 intercettata tra il Ferrara e tale Elena Zippo, nel corso della quale il Ferrara non solo espone alla sua interlocutrice le modalità concrete dello svolgimento alterato della gara, ma le spiega anche che egli ha promesso a Margiotta una dazione di 200 mila euro in cambio dell'intermediazione (pagine 157-158 dello stampato). Questa conversazione, secondo l'ipotesi accusatoria, consentirebbe anche di conferire senso compiuto a una precedente intercettazione, quella della conversazione tra Ferrara e tale Antonio Bulfaro in data 18 dicembre 2007 (pagine 161-163 dello stampato). L'interlocutore del Ferrara in questo caso è il padre di Giuseppe Bulfaro, titolare dell'omonima impresa che partecipa all'ATI «Impresa Ferrara», cui Ferrara stesso spiega che un certo «capo-cantiere» gli avrebbe assicurato che «non c'erano problemi» e che egli aveva compiuto un «sopralluogo». Secondo la pubblica accusa, questa intercettazione, volutamente

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criptica, indicherebbe nel «capo-cantiere» Margiotta stesso, nel «sopralluogo» il suo intervento di mediazione e nella conclusione «non ci sono problemi» la soluzione desiderata dal Ferrara. Ancora: in data 7 gennaio 2008 un dirigente dell'area tecnica della provincia di Matera, Domenico Pietrocola, avrebbe contattato un'utenza in uso a una persona con voce femminile, chiedendo del deputato Margiotta (pagine 167-168 dello stampato). La voce femminile apparterrebbe in effetti alla sorella del deputato, la quale ha risposto che questi non era a Potenza. Da una successiva intercettazione tra Pietrocola e Ferrara si evince che il primo informò subito il secondo dell'assenza del deputato Margiotta. Da quel che si deduce dall'ordinanza, che è pervenuta alla Camera dei deputati senza allegati, inoltre, Ferrara avrebbe chiesto l'incontro con Margiotta del 16 dicembre 2007 proprio per superare la contrarietà inaspettata del Presidente della Regione Di Filippo (pagina 159 dello stampato). In una conversazione del 14 gennaio 2008 tra Ferrara e il Montesano, il primo invita il secondo a contattare Margiotta, ma il Montesano esita: allora Ferrara afferma di non poterlo chiamare personalmente. Nel prosieguo della conversazione Montesano sottolinea che il collega Margiotta avrebbe ricambiato in qualche maniera il Ferrara, il quale a sua volta sostiene di aver avuto da lui un servizio (pagina 175 dello stampato). Da questi elementi, l'accusa muove al deputato Margiotta non solo l'addebito di associazione per delinquere ma anche quella di concorso in turbativa d'asta e di corruzione (quest'ultima per la supposta accettazione della promessa di 200 mila euro). Per quanto riguarda le esigenze cautelari, il GIPdi Potenza ritiene che il deputato Margiotta possa inquinare le prove. In particolare, il fatto che egli, secondo l'ipotesi accusatoria, sappia adoperare cautele e accortezze nell'uso del telefono e nell'organizzazione degli incontri sarebbe indice della capacità di alterazione del quadro probatorio (pagine 442-444 dello stampato). Dispone l'audizione del deputato interessato.
(Viene introdotto il deputato Margiotta)
Salvatore MARGIOTTA (PD), nel precisare che quanto sta per esporre è contenuto in una memoria scritta che chiede di poter depositare, afferma di essere presente anzitutto per difendere il suo onore, la sua dignità ed il decoro del ruolo che riveste, con il massimo impegno, grazie al voto dei cittadini lucani. Potrebbe affrontare questa audizione invocando il fumus persecutionis: egli non è nuovo, come non lo è la sua famiglia, alle iniziative del dottor Woodcock. Già nella precedente legislatura la Giunta si è occupata di una richiesta di autorizzazione all'utilizzo di conversazioni telefoniche tra lui e sua moglie, avanzata su istanza del medesimo pubblico ministero. L'accusa era all'epoca di falso ideologico. Avendo dimostrato che ogni sua affermazione corrispondeva a verità, l'imputazione è stata successivamente trasformata in concorso in abuso d'ufficio, per il quale nel mese di luglio 2008 ha ricevuto l'avviso di conclusione delle indagini. Successivamente, sempre il dottor Woodcock, in altro procedimento, avanzò richiesta al GIP di inoltrare alla Giunta, per l'autorizzazione all'utilizzo, altre conversazioni telefoniche riguardanti lui stesso, oltre ad un'altra decina di deputati. Il GIP rigettò la richiesta, motivandola con l'assoluta insussistenza dei reati. Ancora e sempre il dottor Woodcock ha per ben due volte sottoposto ad intercettazioni telefoniche sua moglie, dottoressa Luisa Fasano, la prima volta quando ella era il capo della Squadra Mobile di Potenza, ed in tale veste stretta collaboratrice dello stesso magistrato in inchieste importanti («Vallettopoli» o «Vittorio Emanuele»), ed ha formulato al suo riguardo ipotesi di reato. Potrebbe altresì utilizzare un altro punto di vista: non è un avvocato, ma le ipotesi di reato addebitatigli, a suo avviso, non sono configurabili, in quanto egli non riveste la qualifica di pubblico ufficiale in relazione alla vicenda appalti-Total, né ha

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alcuna competenza o potere decisionale, sicché non si capisce come e perché potrebbe essere stato corrotto. In aggiunta, potrebbe ricordare che la Total è una società privata che, ritiene, avrebbe potuto affidare i lavori a chiunque avesse voluto, anche senza effettuare una gara. Non si tratta infatti di opere pubbliche, o realizzate con i fondi dello Stato. Potrebbe, ancora, invocare l'insussistenza delle esigenze cautelari. Preferisce invece andare alla sostanza del problema: non è vero che l'Impresa Ferrara gli abbia promesso danaro nel caso di vittoria della gara di appalto. Non è vero: non ha mai permesso a nessuno di parlare con lui in tali termini. Inoltre non è intervenuto in alcun modo nella vicenda: fa notare che l'incontro tra lui e il Ferrara è avvenuto il 16 dicembre 2007 e l'aggiudicazione, come ha letto oggi, il 14 gennaio 2008. Dunque avrebbe dovuto contattare qualcuno della Total in questo lasso di tempo: ciò non è avvenuto ed infatti non ve ne è traccia nel provvedimento giudiziario. Peraltro per gran parte di quel periodo è stato in vacanza all'estero. Fa inoltre presente che in tutto il faldone non vi è mai una sua parola o una frase pronunciata direttamente da lui: ogni volta che si incontra il suo nome - ammesso che «Salvatò» sia lui, cosa di cui dubita fortemente - o un'espressione che secondo il pubblico ministero indica la sua persona, è sempre perché ne parlano, a sua totale insaputa, terze persone. Ritiene francamente strano che si subisca una richiesta di arresto sulla base di frasi, tra l'altro non chiare, spesso in codice, scambiate da altre persone. Questi sono i fatti che intende sottoporre alla Giunta, nel poco tempo che ha avuto a disposizione per studiare le carte; la preghiera che rivolge a ciascuno dei componenti è solo quella di leggerle con attenzione, prima di pronunciarsi. Si rimette poi totalmente alle determinazioni dei colleghi: non chiede alcun favoritismo o alcuna decisione in spirito di «casta»; chiede solo, se così riterranno, di impedire che egli sia vittima di un'ingiustizia.
Matteo BRIGANDÌ (LNP) domanda se ritenga effettivamente che la vicenda sia caratterizzata da un fumus persecutionis nei suoi confronti.
Salvatore MARGIOTTA (PD) risponde affermativamente.
Pierluigi MANTINI (PD) domanda chi fossero i membri della commissione aggiudicatrice.
Salvatore MARGIOTTA (PD) non saprebbe rispondere. (Il deputato Margiotta si allontana dall'aula).
Pierluigi CASTAGNETTI, presidente e relatore, avverte che se vi sono interventi, ne consentirà lo svolgimento, con l'avvertenza - se non vi sono obiezioni - che riterrebbe opportuno non concludere l'esame oggi ma - dopo che la documentazione sia rimasta a disposizione di chi non l'avesse ancora consultata - proseguirlo ed eventualmente concluderlo nella seduta di domani. Raccolta l'iscrizione a parlare del deputato Leone per domani, avverte quindi che il seguito dell'esame è rinviato alla seduta di domani la quale è però anticipata alle 8.30.
La seduta termina alle 9.50.

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