Le conclusioni della Corte dei Conti sul sistema degli Ato in Sicilia
Nonostante i buoni intendimenti della legge circa l’ottimizzazione del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, non sembra affatto che gli A.T.O. abbiano dato, in concreto, i frutti sperati.
Come già evidenziato nella prima parte di questa indagine, l’attuazione del sistema ha presentato e presenta varie criticità alle quali si rinvia e, nonostante alcune affettive ottimizzazioni, ha fatto lievitare considerevolmente i costi ed crea problemi di varia natura circa lo svolgimento del servizio. Il legislatore regionale ha recentemente ritenuto di porre un qualche rimedio prevedendo una drastica riduzione del numero delle società d’ambito ma ciò – a parte il fatto che la legge, sul punto, non è stata ancora attuata – non sembra assolutamente idoneo, da solo, a risolverne i nodi cruciali.
Il primo tema di fondo – sul quale occorre prontamente porre un rimedio sia a livello normativo sia a livello amministrativo ed attuativo – è quello relativo alla natura ed alle funzioni delle società d’ambito le quali, come già sopra rappresentato, dovrebbero avere dei compiti soltanto regolatori, differenziando in tal modo la loro posizione ed i loro interessi istituzionali rispetto al gestore del servizio. Pertanto gli A.T.O. dovrebbero utilizzare personale adeguato, dotato di effettive e specifiche competenze professionali, non facilmente acquisibili a mezzo di stabilizzazioni di personale precario dei comuni (spesso privo di precedenti e qualificate esperienze lavorative), e conseguentemente dichiarare senza indugi – ove occorra - gli eventuali esuberi. In ogni caso, il numero del personale deve essere adeguato alle diverse modalità di gestione.
Occorre infatti evidenziare che l’obiettivo principale nell’espletamento dei servizi pubblici, comunque organizzati, è appunto quello di rendere alla collettività amministrata il servizio migliore possibile mentre nessun prevalente o concorrente pari rilievo può avere l’offrire un lavoro o il migliorare le condizioni di lavoro o di reddito di talune persone la cui assunzione ed il cui mantenimento in servizio appare invero strumentale al pieno ed ottimale soddisfacimento dei bisogni dei cittadini.
Ciò premesso – ed a parte la rappresentata archiviazione della procedura di infrazione comunitaria n. 2006/4420, che si riferisce ad una particolare vicenda, che non inficia le altre pronunce europee e che si riconnette soltanto all’anomala introduzione statutaria di un’assemblea di coordinamento, dotata di poteri atipici) - si dubita sia della legittimità comunitaria degli affidamenti diretti delle gestioni del servizio alle attuali società d’ambito perché tali affidamenti non possono comportare, relativamente ciascun singolo comune-socio dell’impresa A.T.O., alcun “controllo analogo” a quello esercitato sui propri uffici e non possono quindi rientrare tra quelli cosiddetti “in house”, quali notoriamente delimitati da varie sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Ciò è anche avvalorato dalle procedure di infrazione avviate contro l’Italia dalla Commissione europea e dalle suindicate sentenze già pronunziate dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee.
Ma oltre all’aspetto della legittimità comunitaria, deve rilevarsi che l’attuale sistema degli A.T.O. appare quanto meno aprioristicamente inopportuno sotto il profilo di una sana gestione aziendale.
Invero, come già detto, le società d’ambito non preesistevano sul mercato e, quindi, erano prive di qualsivoglia specifica esperienza professionale e gestionale, e, in genere, di “avviamento”. Le stesse, inoltre, sono state originariamente costituite con il capitale sociale minimo allora previsto dal codice civile (€ 100.000,00), di nessun significato economico-finanziario perché inidoneo allo scopo, ed erano prive di mezzi e di personale: trattavasi in buona sostanza di “imprese improvvisate”, prive di capitale di rischio, sostanzialmente prive di mercato e di rischio imprenditoriale e destinate ad assumere consistenza economica soltanto in forza del monopolio loro derivante dai successivi contratti di servizio e dagli apporti da parte dei comuni-soci. Sul punto va tuttavia aggiunto che le situazioni dei vari A.T.O. sono notevolmente differenziate (anche in ordine al personale) e che, per esempio, alcuni di essi, hanno successivamente aumentato il capitale sociale, pur se ciò è appare soltanto strumentale ai fini dell’ottenimento di alcuni vantaggi di legge e se tale aumento è comunque insufficiente anche ai fini dei necessari investimenti.
Gli enti locali – da parte loro – hanno forse trovato una qualche immediata convenienza nella possibilità di devolvere parte di proprio personale c.d. “precario” il quale ha così goduto della “stabilizzazione” (la parte di personale rimasta presso i comuni, ha invece finito per costituire – come si è detto - un costo aggiuntivo). Tutto ciò ha però comportato un assai consistente ed immediato aumento dei costi di gestione a seguito delle innovazioni introdotte in materia e dagli altri fattori sopra indicati, tra i quali assume particolare rilievo il trasporto in discarica e la gestione della discarica stessa secondo le restrizioni imposte dall’attuale normativa.
La sottocapitalizzazione degli A.T.O. ha comportato e comporta anche gravi difficoltà in ordine agli investimenti (pur necessari alle imprese sane), la loro inaffidabilità circa il tempestivo adempimento delle obbligazioni assunte, e la loro esclusiva dipendenza dai soci i quali, peraltro, nell’attuale situazione si trovano talora praticamente costretti al rimborso di spese “a piè di lista”, peraltro in sostanziale violazione dell’art. 238, comma 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006.
Va ancora osservato che la “derivazione pubblica”, l’esclusività del rapporto, l’assenza di preoccupazioni riguardanti la concorrenza ed il controllo pubblico di tali società potrebbe indirettamente comportare una loro sostanziale (anche se non formale) neutralità in ordine a maggiori costi di personale (sia sotto l’aspetto numerico sia sotto l’aspetto retributivo, sia sotto l’aspetto dell’effettiva qualità e quantità del lavoro svolto) e di gestione dei trasporti e delle discariche, potendo forse restare più interessati a questioni “politiche” e/o di mera legittimità formale che a problemi di distribuzione di dividendi agli azionisti, di affermazione sul mercato, di concorrenza, di qualità servizio e, quindi, di ricerca di nuove tecniche e di maggiore economicità della gestione economico-finanziaria.
In altri termini, l’attuale assetto degli A.T.O. – salve le anzidette differenziazioni - somma sia i difetti del “pubblico” sia i difetti del “privato”.
Per quanto sopra, appare necessario ed urgente che le aziende di smaltimento dei rifiuti siano finanziariamente e professionalmente idonee, sappiano stare sul mercato, siano realmente indipendenti dai comuni e dalle loro finanze ed abbiano specifici obiettivi da perseguire.
L’attuale applicazione dell’I.V.A. (10%) sul servizio ha inoltre introdotto un ulteriore aumento della pressione fiscale a carico dei cittadini. Tale imposta – nonostante il diverso parere espresso dall’Agenzia delle entrate - appare tuttavia di discutibile debenza sostanziale, atteso che – non essendosi ancora diffuso il “passaggio alla T.I.A.” - ancor oggi si paga la TA.R.S.U. che, com’è noto, è una vera e propria tassa. Cosicché attualmente si calcola e si paga sostanzialmente un’imposta (l’I.V.A.) su una tassa. Peraltro molti A.T.O., e relativi comuni-soci, sostengono la sussistenza del “controllo analogo” ai fini del superamento dei vincoli imposti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea; ed allora, anche sotto tale profilo, potrebbe apparire discutibile il pagamento dell’IVA da parte di soggetti che si pretende di assimilare ad una sorta di uffici degli stessi comuni-soci.
La questione merita tuttavia ulteriori e specifici approfondimenti che vengono richiesti dalla Corte agli organi competenti.
Per quanto poi concerne le discariche, le stesse, nell’immediato, andrebbero individuate ed autorizzate più speditamente senza farsi troppo rallentare da opposizioni ideologiche, ingiustificatamente psicologiche, atecniche o strumentali, magari, tenuto conto delle specifiche realtà territoriali, scegliendo il minor danno ed individuando dei siti in qualche modo “inquinabili”. E’ infatti di tutta evidenza che l’esigenza del pronto smaltimento dei rifiuti è assolutamente ineludibile (come hanno anche dimostrato recenti fatti di cronaca) e che pertanto ogni altra considerazione e remora vi è subordinata (ogni attesa appare dunque ingiustificabile e pregiudizievole).
Comunque appare all’uopo necessaria la realizzazione dei (pur assai costosi, ma sovvenzionati) termovalorizzatori, anche al fine e trasformare i rifiuti in energia ed ottenere in tal modo il duplice vantaggio di meglio e più adeguatamente eliminare i rifiuti medesimi e, contemporaneamente, di produrre preziosa energia e di abbassare i costi sostenuti dai cittadini.
Da ultimo, in questa sede di conclusione della relazione, la Corte ritiene di segnalare – al fine dei necessari urgenti interventi – la necessità di tenere in debito conto i maggiori oneri sopportati in atto dagli enti locali per l’attuazione di un complesso sistema radicalmente da riformare.